Univpm Collaborazione scientifica
CONSOB, Ufficio Studi Economici
Università Politecnica delle Marche
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Rappresentazione dell'informazione finanziaria, percezione del rischio e scelte di investimento
Un esercizio di consumer testing


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Come si evince dagli studi di finanza comportamentale, le scelte di investimento degli individui sono influenzate dal rischio percepito piuttosto che dal rischio oggettivamente misurato. La percezione del rischio è a sua volta condizionata da molteplici fattori, tra i quali si annoverano deficit cognitivi e distorsioni comportamentali, caratteristiche socio-demografiche e, non ultimo, il modo in cui l'informazione finanziaria è rappresentata.
Questa ricerca analizza la relazione tra rappresentazione delle caratteristiche di uno strumento finanziario, percezione del rischio e propensione a investire degli individui, utilizzando le evidenze raccolte attraverso un esercizio di consumer testing che ha coinvolto 254 investitori retail italiani, relativamente a 4 prodotti finanziari (un'obbligazione strutturata in circolazione, un'obbligazione strutturata di nuova emissione e 2 strumenti azionari).
Tali evidenze riguardano, in particolare: i) il giudizio in termini di complessità, utilità e contenuto informativo; ii) il rischio percepito; iii) la disponibilità a investire rispetto a diverse rappresentazioni di rischio e rendimento.
Il rischio è stato rappresentato nell'ambito di schede prodotto basate su quattro approcci alternativi. Il primo fa riferimento a un indicatore sintetico, che aggrega i valori espressi da indicatori di rischio di mercato, liquidità e credito del titolo (scheda sintetica). Il secondo è basato su di un elenco dettagliato di diversi indicatori di rischio (in particolare, per il rischio di mercato sono riportati volatilità storica e Value at Risk; per il rischio di liquidità il turn-over ratio; per il rischio di credito, il rating ufficiale emesso dall'agenzia Moody's e la probabilità di fallimento dell'emittente o Edf; scheda dettagliata). Sia nella scheda sintetica sia nella scheda dettagliata il profilo di rischio/rendimento del prodotto è stato comparato con le caratteristiche di rischio-rendimento di un portafoglio-benchmark. Il terzo e il quarto approccio si rifanno ai cosiddetti scenari di performance, costruiti a partire da metodologie di calcolo standard, rispettivamente l'analisi what-if e la modellistica dei rendimenti attesi.
L'obbligazione strutturata in circolazione è stata alternativamente rappresentata tramite la scheda sintetica, quella dettagliata e quella basata sugli scenari what-if; l'obbligazione strutturata in emissione è stata illustrata da una scheda sintetica e dalla scheda con gli scenari di rendimento; le due azioni sono state illustrate, rispettivamente, tramite una scheda sintetica e una dettagliata.
I costi sono stati rappresentati usando tre diversi approcci: 1) ponendone in evidenza l'impatto sul tasso interno di rendimento; 2) riferendo dell'impatto su montante e interessi maturati; 3) riportandone l'ammontare separatamente dal fair value del titolo e dal valore della componente derivativa.
Il consumer testing è stato articolato in più fasi. Nella prima, i partecipanti hanno espresso un giudizio in merito a complessità, utilità e quantità di informazioni (poche/troppe) delle schede prodotto, sottoposte alla loro attenzione una per volta, senza essere a conoscenza né della tipologia degli strumenti illustrati (azioni, obbligazioni o altro), né dell'abbinamento di più schede a uno stesso strumento. Secondo le valutazioni dei soggetti intervistati, la complessità percepita è minore per la rappresentazione sintetica e maggiore per quella dettagliata, raggiungendo il massimo in corrispondenza delle rappresentazioni basate sugli scenari di performance. Queste ultime, inoltre, sono percepite meno utili ai fini della decisione d'investimento rispetto alle rappresentazioni sintetiche e dettagliate. In generale, complessità e utilità sono inversamente correlate: una scheda risulta tanto meno utile quanto più viene giudicata complessa.
Durante la seconda fase del test, ai partecipanti è stato richiesto di ordinare le schede in funzione del livello di rischio, allo scopo di verificare la relazione tra modalità di rappresentazione dell'informazione finanziaria e percezione del rischio. In un primo momento, i soggetti hanno preso visione contemporaneamente delle schede relative al medesimo prodotto (ossia, tre nel caso dell'obbligazione strutturata in circolazione e due nel caso del titolo strutturato in emissione) e sono stati invitati a individuare il prodotto più rischioso. Solo una percentuale contenuta di intervistati ha compreso che le schede confrontate si riferivano allo stesso prodotto. Successivamente, ai partecipanti è stato richiesto di ripetere l'operazione utilizzando soltanto le schede diverse da quella sintetica. In altre parole, è stato chiesto loro di ordinare dal meno rischioso al più rischioso i documenti illustrativi della obbligazione strutturata in circolazione (rappresentata sia tramite la scheda con indicazione dettagliata dei parametri di rischio sia tramite la scheda con gli scenari what-if), dell'obbligazione strutturata in emissione (rappresentata attraverso la modellistica sui rendimenti attesi) e di una delle due azioni (ossia, quella illustrata tramite la scheda dettagliata). La visione della scheda dettagliata è risultata associata a una maggiore percentuale di risposte corrette (sia rispetto all'obbligazione strutturata in circolazione sia per quella riferita all'azione). Alla rappresentazione basata sugli scenari di performance è risultata associata, invece, una più elevata percentuale di risposte errate. In particolare, il rischio tende ad essere più frequentemente sovra-stimato in corrispondenza della scheda what-if e più frequentemente sotto-stimato in corrispondenza della modellistica sui rendimenti attesi. In generale, al crescere della complessità percepita di una determinata rappresentazione aumenta il rischio percepito.
Nella terza fase del test, i soggetti intervistati hanno espresso la disponibilità a investire nel prodotto corrispondente a una determinata rappresentazione, partendo da una condizione predefinita in termini di risorse destinabili all'investimento, orizzonte temporale e obiettivo di investimento. Anche in questa fase, come nella precedente, la complessità percepita è risultata essere il principale driver dei comportamenti individuali. La propensione a investire, infatti, diminuisce al crescere del giudizio di complessità espresso nei confronti della scheda. A parità di condizioni, tuttavia, la disponibilità a investire sembra aumentare per i soggetti che dichiarano di essere stati colpiti da uno o più elementi della scheda (sia informativi sia di lay-out), a testimonianza del fatto che quando l'informazione viene ritenuta saliente, ossia importante, si rileva una maggiore comprensione delle schede e una maggiore disponibilità a investire. Viceversa, se gli elementi delle schede risultano oscuri, incomprensibili o incapaci di catturare l'attenzione dell'intervistato, la difficoltà a comprendere l'informazione può indurre ad astenersi dall'investimento.
Ulteriori evidenze sono emerse con riferimento alla relazione tra percezione del rischio e variabili sociodemografiche, conoscenze finanziarie, tratti caratteriali e abitudini all'investimento dei soggetti intervistati. In particolare, queste ultime sembrano avere un impatto significativo sia sul gradimento delle schede prodotto e sulla comprensione dell'informativa finanziaria, sia sulla propensione a investire nei prodotti presentati nel corso del test. Una frequenza più elevata delle decisioni di investimento, l'abitudine alla relazione con l'intermediario, un maggior grado di fiducia nel consulente, ad esempio, si associano alla percezione di una maggiore semplicità delle schede e a una più elevata disponibilità all'investimento. Anche le conoscenze finanziarie degli intervistati, rilevate rispetto ai concetti riportati nelle schede informative, sembrano agire sul rischio percepito riducendo sia il giudizio di complessità di tutte le schede (ad eccezione della rappresentazione what-if), sia il grado di indecisione sperimentato dagli intervistati chiamati ad assegnare un livello di rischio ai prodotti riferibili alle schede. La minore indecisione, tuttavia, si associa generalmente a una errata identificazione del rischio. Tale risultato, da approfondire con ulteriori analisi, potrebbe essere interpretato come un'evidenza nota agli studiosi di finanza comportamentale, secondo la quale livelli più alti di conoscenza finanziaria possono alimentare negli individui un atteggiamento di overconfidence, ossia una tendenza a sovrastimare le proprie capacità in tema di investimenti, che può non corrispondere a un'effettiva maggiore competenza.
Un ulteriore spunto di riflessione deriva da un'altra regolarità empirica, ben nota in letteratura e confermata dai nostri risultati, secondo la quale i soggetti con più elevate conoscenze finanziarie possono mostrare una maggiore attitudine verso bias comportamentali. Tale associazione non sorprende, poiché conoscenze e distorsioni comportamentali afferiscono a due processi cognitivi differenti, il ragionamento e l'intuizione, che non necessariamente interagiscono tra loro (Kahneman, 2002). In altri termini, i bias comportamentali, sistematici ed espressione del processo intuitivo, non vengono necessariamente 'neutralizzati' attraverso un ampliamento delle conoscenze individuali: al contrario, come ricordato poc'anzi, soggetti più 'istruiti' potrebbero diventare più overconfident (Willis, 2008) e, per tale via, più esposti a distorsioni comportamentali. Nel nostro campione, la correlazione positiva tra la tolleranza al rischio, rilevata attraverso il test di Grable & Lytton, e l'attitudine ai bias deporrebbe a favore dell'esistenza di una overconfidence latente che diventerebbe più significativa nei soggetti più 'colti' e quindi più esposti a errori comportamentali.
Il presente studio si inscrive nell'approccio alla trasparenza informativa adottato di recente anche dal legislatore comunitario e noto come cognitive disclosure. Tale approccio, staccandosi dalle ipotesi di razionalità e omogeneità delle scelte individuali alla base del paradigma classico, fonda la definizione delle regole soprattutto sulle evidenze concrete relative ai comportamenti degli investitori. In tale contesto, il lavoro contribuisce in maniera innovativa al dibattito, fornendo indicazioni interessanti sulla relazione tra rappresentazione dell'informazione, rischio percepito e scelte d'investimento. In particolare, dallo studio emerge che la complessità è il driver principale della percezione del rischio e della propensione a investire. La semplificazione dell'informativa di prodotto non necessariamente si associa a una migliore percezione del rischio e in questo senso non può essere di per sé sufficiente a orientare gli investitori verso una comprensione corretta delle informazioni finanziarie. Inoltre, caratteristiche sociodemografiche, tratti caratteriali e abitudini all'investimento giocano un ruolo importante, sebbene talvolta eterogeneo rispetto alle forme di rappresentazione considerate nel consumer testing. La significativa eterogeneità degli investitori suggerisce che la scheda-prodotto ideale non esiste e che l'approccio 'one-size-fits-all' può non assicurare adeguate tutele all'investitore retail. La ricerca della disclosure più efficace deve accompagnarsi a opportune iniziative di educazione finanziaria, tese non solo all'innalzamento delle conoscenze ma anche alla correzioni dei bias comportamentali più diffusi o quanto meno alla prevenzione di quelle distorsioni (come ad esempio l'overconfidence) che possono essere alimentate da maggiori conoscenze finanziarie.
Infine, le differenze nella comprensione dell'informazione finanziaria, nella percezione del rischio e nella disponibilità a investire associate alle abitudini di investimento, unitamente alla grande eterogeneità dei comportamenti individuali, ripropongono la centralità della relazione intermediario-cliente, secondo un paradigma, evidenziato anche dagli studiosi di finanza comportamentale, che attribuisce a tale relazione la maggiore efficacia nell'educare e orientare il cliente verso scelte di investimento prese nel suo migliore interesse.


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This research investigates the subjective understanding and perception of financial information and their impact on investment decisions. A consumer testing approach is applied in order to explore: i) how different representation formats (or Templates) are appraised in terms of complexity, usefulness and information content, ii) how different Templates influence risk perception, iii) how different Templates affect willingness to invest.
A sample of 254 Italian investors were submitted different Templates, each delivering in different modes the same information on risk, return and costs of four financial instruments (two structured bonds - one outstanding and the other newly issued - negotiated on the Italian retail bond market and two Italian listed stocks).
Risk is alternatively disclosed through four approaches. The first relies on a synthetic risk indicator, aggregating information on market, liquidity and credit risks. The second discloses unbundled quantitative measures of the market risk (volatility and value at risk), the liquidity risk (turn-over ratio) and the credit risk (Moody's official rating and expected default probability). Both the synthetic and unbundled formats compare the risk/return characteristics of the product with the risk/return attributes of a benchmark portfolio. The third mode is based on what-if scenarios. The fourth resorts to probabilistic modelling of expected returns. Costs are disclosed according to three options. The first shows the impact of costs on the internal rate of return. The second highlights the impact of costs on principal and interest. The third unbundles the product fair value into its bond and derivative components, with specific indication about costs.
First, investors were asked to rate the complexity and the usefulness of the Templates and to assess the riskiness of the presented products. In order to control for familiarity bias, in the first stage of the test neither the issuer's name nor the type of the assets were disclosed. Perceived complexity turns out to rise moving from the synthetic representation to the unbundled one and reaches its highest for the performance scenarios (both what-if and probabilistic). As for usefulness, both what-if and probabilistic modelling are perceived to be less useful than the synthetic and unbundled representations. Perceived complexity and perceived usefulness of financial information are generally inversely related: in other words, the higher the complexity of the information, the lower the perceived usefulness.
Second, in order to assess the relation between information disclosure and risk perception investors were asked to rank products by their riskiness. In general, risk perception results to be positively affected by perceived complexity of the information disclosure. The percentage of respondents correctly ranking the risk of products is higher when unbundled formats are used, whereas performance scenario representations are associated with a higher percentage of wrong answers in ranking products' riskiness. In details, risk tends to be more frequently overestimated when participants inspect the what-if scenario representation and to be more frequently under-estimated when probabilistic modelling is taken into account.
Finally, respondents were asked how much they would invest in each product, given an initial endowment, a time horizon and an investment objective. This allowed observing propensity towards investment driven exclusively by the representation of the financial information. As expected, perceived complexity results to be the main driver of the willingness to invest, since it always contributes to reduce propensity to invest. To this respect, perceived complexity seems to trigger a standard adverse selection problem: it is as if difficulty of understanding cast individuals into uncertainty, leading them to abstain from entering into the market. Financial knowledge, personal traits and investment habits do play a role in the perception of complexity and risk as well as in the attitude towards investment, although with a certain degree of heterogeneity across different representation modes. Higher levels of financial knowledge are generally negatively associated with perceived complexity and with indecision individuals may experience in the assessment of products' risk. However, being less hesitant is generally associated with the wrong risk ranking. Another interesting consideration is that, in line with the insights of the behavioural literature, in our sample high financial 'literate' individuals are not necessarily free of inclination towards behavioural biases. This evidence, coupled with a positive correlation between risk propensity (as measured through the Grable & Lytton test) and the inclination towards behavioural biases, would point to a latent variable, i.e. the overconfidence fed by a good level of financial knowledge, driving the positive relation between high knowledge and inclination towards behavioural biases. This point claims for financial education initiatives attuned also as debiasing programs, in order to be an effective investor protection tool. Finally, making frequently investment decisions, delegating investment choices to an expert, trusting financial advisors are all associated with an easier understanding of financial information and a higher propensity to invest. This evidence indirectly confirms that financial experts and advisors may actually make the difference, by playing an educational role and, by this way, changing individuals' attitude towards financial choices.
Overall, the present research shows that risk perception is context-dependent and mainly determined by the way financial information is disclosed. It adds to the existing literature by providing new evidence on the impact of framing of different representation modes, partially overlapping with the formats mandated by regulators and supervisors and/or used by the industry. Relying on the actual appraisal elicited from a sample of Italian investors, the study provides insights on how people actually read and understand financial information, which may turn useful in the design of financial disclosure and investor education programmes. For instance, it highlights that simplifying financial disclosure is not sufficient to ensure correct risk perception and unbiased investment choices. Moreover, evidence about investors' heterogeneity and behavioural biases affecting risk perception supports the idea that the 'optimal' disclosure may not exist and the 'one-size-fits-all' approach cannot be effective in ensuring a suitable level of investors protection.
This research is in line with the approach adopted by some regulators increasingly engaged in the definition of evidence-based rules and may offer useful insights for the design of effective investor education programmes.